Enrique Medina, una delle voci
migliori e più originali della
narrativa argentina, ebbe ottenuto
il riconoscimento nazionale con il
suo primo romanzo. Las tumbas,
cruda storia degli istituti minorili,
fu pubblicata nel 1972. Da allora
non ha smesso di essere ripubblicata,
in Argentina e all’estero. Tuttavia,
Medina, autore di dozzine di libri di
romanzi, racconti, cronache e saggi,
sostiene che la sua opera migliore è El
escritor, el amor y la muerte. Apparso
originariamente nel 1999, il romanzo
fu un altro colpo dirompente del secolo
che se ne andava: un uomo comune
che mette su famiglia e sale i gradini
di una vita ordinaria. Da quel punto di
partenza, Medina percorre sentieri che
lo portano nel sottosuolo dell’animo
umano, dove la vita si trasforma in un
inferno. La scrittura emerge lì come una
compagnia liberatrice e chiarificatrice. E,
alla fine, forse, autoindulgente.
Leggere il vecchio
libro —ripubblicato nel
2019— vale di per sé
la pena. Ma per aprire
l’estate argentina,
Medina porta una
sorpresa: presenta
una sceneggiatura
cinematografica,
liberamente adattata,
sull’opera: la intitola La masacre.
Aspettiamo che abbia, tra i suoi lettori,
produttori cinematografici con un occhio
esigente e buon senso, che ne vedano il
potenziale.
Medina non è nuovo a questo genere.
Due dei suoi libri sono diventati film:
Las tumbas (1991, regia di Javier
Torre) e Perros de la noche (1986,
Teo Kofman). Nel secondo ha
collaborato attivamente, non solo all’idea
originale ma anche allo sviluppo della
sceneggiatura e allo stretto rapporto di
lavoro con il regista. Medina, inoltre, è
autore di un’opera quasi introvabile:
si intitola Pelusa, rumbo al sol. Fu
pubblicato nel 1976, anno dell’inizio
dell’ultima dittatura argentina.
Quella laboriosa perizia può essere letta
ne La masacre, dove lo scrittore celebra
un quarto di secolo dalla comparsa
del romanzo originale. Medina brilla
nella selezione dei dialoghi e trasforma
efficacemente la sua voce narrante
negli elementi che la rendono teatrale e
cinematografica: la conversione di quel
registro in inquadrature, messa in scena
e —in particolare— dialoghi dei personaggi
(mai un compito semplice).
L’esperienza di Medina come scrittore
e sceneggiatore non è l’unico elemento
che contribuisce a rendere La masacre
un buon prodotto. Tra i tanti lavori
che il nuovo scrittore svolse prima
della definitiva consacrazione letteraria
(e della successiva censura, quando
arrivò il terrorismo di Stato) c’è quello
di cameraman per i grandi programmi
televisivi dell’epoca in Argentina.
Questo gli ha permesso non solo di
incontrare volti noti, ma di osservare,
senza intermediari, il mestiere e i
criteri con cui lavoravano presentatori
e registi televisivi. Non si tratta di un
apprendimento da poco, se la sfida
attuale è trasferire le narrazioni tipiche
di un romanzo sulle pagine che
attendono lo schermo. Soprattutto
quando le trame e i personaggi di
Medina spesso attraversano percorsi
complessi della nostra stessa umanità.
Il cinema di oggi però è troppo abituato
a esplorare le superfici. L’arrivo de
La masacre nelle librerie ci offre
l’occasione unica di schematizzare
nella lettura le inquadrature e le
espressioni che vengono indicate o
che meglio si adattano al momento
che i personaggi stanno attraversando.
Lo scenario mentale che solitamente
creiamo durante la lettura di una storia,
in questo caso ha un altro veicolo.
Altre regole e strumenti. Oltre a questo
divertimento, il confronto tra questa
sceneggiatura e il libro originale ci
permette di scoprire gli ingranaggi del
lavoro di uno scrittore, le sue alchimie
segrete e gli strumenti per convertire
la propria storia in dialoghi e progetti
per il vecchio e amato schermo
cinematografico.